domenica 17 luglio 2016

New York: Domenica è sempre domenica...

"Domenica è sempre domenicaaaa…" cantavano allegri gli italiani negli anni '50. Chissà perché stamattina il ritornello ci viene in mente, insistente. Usciamo dall'hotel di Harmon Meadow-Secaucus, New Jersey, per una capatina a piedi fino al supermercato di zona. 

Sole e vento, cielo azzurro cupo striato da batuffoloni bianchi simili a masse di zucchero filato. Qualche minuto di strada semideserta ed eccoci all'ingresso del Walmart.
La catena di supermercati fondata nel 1962 da Sam Walton e poi diventata una multinazionale, è uno dei nostri luoghi preferiti. Oltre che per trovare quel che serve (oggi, ad esempio, una scheda SIM americana e un dentifricio) Walmart è perfetto per osservare abitudini e preferenze merceologiche statunitensi. Di domenica mattina poi, sono i nuclei familiari al completo a dare l'assalto agli scaffali dove troneggia ogni bendidio. E noi analizziamo, con piglio da antropologo, persone quasi tutte piuttosto "oversized" ma soprattutto il contenuto dei loro  carrelli, strabordanti di confezioni "king size" come si usa qui. 
Acchiappato e pagato ciò che ci serviva, usciamo di nuovo nel sole e nel vento, attraversiamo a piedi il parcheggio e torniamo in hotel. Giusto il tempo necessario ad attivare il nostro numero di telefono americano nuovo di zecca, e si riparte col bus NJT alla volta di New York City: ...domenica è sempre domenicaaaaaa! E vogliamo gustarcela nella Grande Mela.


La trafila ormai la conosciamo a memoria: il tubo nero del Lincoln Tunnel ci inghiotte per qualche minuto, poi ci risputa fuori al sole. Qualche bagliore di luce diurna inframmezzato da  skyline lontane, poi nuovamente tuffati nel buio artificiale delle viscere di Port Authority, l'autostazione di Manhattan. 
E poi emergere nel cuore della Mela, uscendo da una porta a vetri vedersi di fronte l'edificio del New York Times. Già fatto ieri, nuova emozione oggi. Perché trovarsi in un luogo-mito fa sempre effetto e, per fortuna,  non ci si abitua mai del tutto. 




Ci incamminiamo lungo Broadway, Sesta, Quinta Strada. Le foto vengono bene: luci e ombre creano effetti interessanti, complice un vai e vieni di nubi che fanno a nascondino con il sole. E poi, basta già la punta dell'Empire State Building o i cartelli stradali verdi "Broadway" a giustificare uno scatto.





Ci imbattiamo del tutto casualmente, seminascosto da ponteggi, in uno dei due empori "EATALY" di New York, quello sulla Quinta, appunto. Proprio accanto al Flatiron, l'edificio a cuneo famoso in tutto il mondo dell'architettura.  Naturalmente, dentro a "Eataly" ci entriamo subito: per due piemontesi a spasso per New York  dare un'occhiata lì dentro è tentazione inevitabile. E veniamo subito travolti piacevolmente da caciotte e provoloni, parmigiano,un tripudio di specialità italiane tra cui spiccano pure i sacchetti della nota marca emiliana di pasta e biscotti tanto cara alla famiglia che abita nel Mulino Bianco. Insomma, se uno statunitense vuole capire e assaggiare ciò che mangiano gli italiani a casa propria, prego, si accomodi qui e sarà accontentato!









C'è persino, all'interno dell'emporio, uno sportello automatico di una grande banca italiana. E quanta gente, ad aggirarsi fra scaffali e banchetti, tavolini e leccornie fragranti. Qui a New York l'Italia va forte, non c'è dubbio. Ci fa piacere constatarlo e assaporiamo per qualche minuto ancora l'atmosfera familiare di casa. Qualche foto da postare subito sui Social per far parlare un po' gli amici rimasti dall'altra parte dell'Atlantico, e riprendiamo la strada. 




 Siamo a Tribeca, lungo la 145ma West Broadway. Passiamo davanti al celebre "Odeon", il bistrot caro a Wahrol, De Niro, Belushi, Basquiat, nei mitici anni '80 dello scorso secolo. Parecchia storia del cinema e dell'arte,è passata di qua.






Luci di tardo pomeriggio, intanto, regalano inquadrature suggestive, impastano colori freddi e caldi per il nostro divertimento di fotografi dilettanti. Sembra di essere dentro a una tela di qualche iperrealista, magari dentro a un quadro di Richard Estes.





La passeggiata sta per finire, è tempo di riprendere una Metro per Grand Central, poi un'altra linea per la 42ma, infine a Port Authority il nostro bus della NJT per raggiungere Harmon Meadow-Secaucus, la nostra base periferica oltre l'Hudson.
Ad aspettarci, c'è una bella birra fresca e un piatto saporito, al ristorante australiano.










sabato 16 luglio 2016

New York: rieccoci a Gotham

Rieccoci, finalmente, a Gotham! Non è la prima volta, ma l'emozione di trovarcisi di colpo dentro è sempre fortissima. Immaginatevi insieme a noi. Seduti sul bus 320 proveniente dal New Jersey, viaggiare per una ventina di minuti lungo una trafficata tangenziale che si inabissa, trasformandosi in un' interminabile galleria piastrellata: il Lincoln Tunnel. Riemergete, abituate gli occhi alla accecante luce diurna, godetevi un rapido spicchio di cielo e una parete di grattacielo, per poi subito ripiombare nella semioscurità del terminal dei bus Port Authority, illuminata solo dai neon e dai rossi occhi dei freni posteriori dei pullman incolonnati in attesa di scaricare il loro contenuto umano. Infine, scendete insieme a noi dal bus, percorrete altrettanto anonimi corridoi, scale e il grande atrio dell'autostazione. Di qui, individuate le porte a vetri, spingetele, ancora qualche passo… ed eccovi di colpo sulla 8va,  all'angolo con la 42ma strada! Di fronte, la sede del New York Times, sì, proprio quella progettata da Renzo Piano! Accanto a voi, gente che passa veloce e indaffarata. Qualche isolato da qui, se guardate alla vostra sinistra lungo la strada la intravedete già, Times Square. Se non è sognare, questo, allora cos'è.


Tutta l'umanità, tutte le etnie del mondo sembrano riunite in questo sabato americano afoso e soleggiato. A far compere e godersi la parte più succosa e rilassante della settimana: il weekend.

Ora alzate gli occhi. E quello che vedrete va dritto al cuore. Almeno al nostro sì, che ci siamo subito messi a fotografare.

Con l'entusiasmo dei bambini al luna park, non siamo mai stanchi di rimirare i grattacieli stagliarsi nell'azzurro un po' sbiadito dall'afa di luglio, scoprirne i mille riflessi nei vetri a specchio, il gioco di prospettive lungo le vie, i contrasti tra i vecchi e i nuovissimi edifici,  i flussi inarrestabili di luci e foto giganti lampeggianti nelle pubblicità di Times Square e degli ingressi dei teatri di Broadway.














Come lo scrittore Paolo Cognetti, che di New York se ne intende parecchio, anche noi amiamo pensarla come Gotham, questa città che  pare di conoscere da sempre e allo stesso tempo è sempre nuova. Una metropoli che non finirà mai di stupirci. Un luogo dell'immaginario uscito direttamente da tutti i film, romanzi,musical, poesie, foto che l'hanno avuta come protagonista. E' seducente, New York. Molto più della ragazza in reggiseno rosa, short bianchi e sguardo intenso che ricopre come una seconda pelle il bus che ci scorre davanti mentre aspettiamo pazientemente il semaforo bianco.


 Eh già, perché qui a Gotham City, come in tutti gli Stati Uniti, il semaforo pedonale di via libera non è verde, è bianco.


Bighelloniamo senza una meta precisa. Giusto vogliamo goderci la passeggiata dello shopping da veri newyorchesi. Mescolandoci alla folla guardiamo le lussuose vetrine della Quinta Strada e passiamo di fronte alla Cattedrale di San Patrizio. 






 Di fronte, il Rockfeller Center con la fontana di marmo scuro e i putti dorati. E una curiosa scultura: un orecchio-piscina piuttosto surreale.







Nella città soprannominata "Grande Mela", un giro nel suo negozio Apple non può mancare. Entriamo nel grande cubo di cristallo dentro cui occhieggia la bianca sagoma della mela morsicata più famosa del web. All'interno, scendiamo per una scala a chiocciola anch'essa di cristallo e facciamo un giro fra computer e aggeggi vari di ultima generazione. C'è una ressa incredibile e tanti "digital kid" con in mano tablet e nelle orecchie bianchi auricolari o in testa cuffie enormi rispetto alle piccole teste.








La passeggiata continua lungo la Quinta, costeggiando uno dei confini del Central Park. Il percorso qui è pura poesia newyorchese: bancarelle variopinte promettono attraverso pannelli-menù succosi distillati di frutta e verdura. Accanto, da chioschi meno salutisti si sprigionano profumi decisi: hot-dog e pretzel ben caldi. Non ce li lasciamo certo sfuggire.




C'è pure qualche bancarella di libri usati, dove per aumentare la carica suggestiva che già ci pervade, basta fermarsi ed aprire la copia della "Trilogia di New York" di Paul Auster. 


Diamo un'occhiata al verde del  Central Park ma non entriamo, troppo caldo e afa,oggi.














Meglio proseguire verso una visione architettonica che non delude mai, la "sorprendente ziggurat bianca costruita in un isolato cittadino" come l'ha definita Adam Gopnik. Un colpo d'occhio che fa battere il cuore. In tutta la sua maestosa ma agile bellezza, il Guggenheim Museum, il capolavoro di Frank Lloyd Wright. 






Si fa tardo pomeriggio e la luce, complice una cortina grigia di nubi, non è più quella brillante di prima. Decidiamo di scendere nella Metro e raggiungere il World Trade Center.





Lì, una silenziosa folla  multietnica si raggruppa attorno ai bordi delle due profonde vasche realizzate dove sorgevano le Torri Gemelle. Tristezza e commozione si mescolano mentre ci avviciniamo a ciò che resta dell'11 Settembre 2001: più di 2500 nomi e cognomi ritagliati nel metallo nero con cui sono incorniciate le vasche. Qualche fiore, una bandierina, infilati fra le lettere segnano un fragile legame fra quei poveri morti e chi li ha amati in vita. 










Le cascate d'acqua che scorrono lungo le pareti delle due voragini creano nuvole di umidità. L'aria ne è impregnata e tutto è velato da un'impalpabile nebbiolina. Deve anche aver piovuto un po' e le lastre scure sembrano piangere, coperte di gocce come sono.



Alle nostre spalle, quasi a compensare tutto quel nero metallo bagnato, si erge la candida schiena dell'"Oculus", la creazione architettonica di Santiago Calatrava. Appena inaugurato, ci colpisce per la sua bellezza. Emerge fra gli edifici con plastica imponenza e a noi pare più una balena bianca che un occhio, francamente. E poi stasera il contrasto di tanto biancore con il grigio scuro del cielo rende  tutto tristemente suggestivo. Si sta facendo ora di tornare, preferiamo non visitare per adesso il museo dedicato alla Memoria dell'11 Settembre. 










Entriamo perciò nell'"Oculus", che in realtà si chiama 
World trade Center Transportation Hub ed è una fra le maggiori stazioni di interscambio dei mezzi pubblici di New York. 
Anche dall'interno, l'"Oculus" continua a sembrarci un cetaceo, o un enorme animale preistorico di cui si possono contare ossa e vertebre. E' qualcosa di incredibile, non lascia certo indifferenti. A noi la gigantesca sala centrale ricorda persino, sarà a causa dell'enorme bandiera americana appesa al fondo della sala,  lo spazio in cui venivano raggruppati e accolti a Ellis Island, cento anni fa, gli emigranti europei che bussavano alla porta newyorchese, per entrare nella Merica, nel Nuovo Mondo. 



Dopo aver preso una linea Metro per il terminal di Port Authority, percorriamo una galleria calda e super illuminata che sbuca direttamente nell'autostazione: il bus NJ 320 ci riporterà all'hotel, al di là del fiume Hudson. La nostra prima New York Story ha termine qui.