mercoledì 31 luglio 2013

Da Chivay a Puno: Un Pomeriggio sull'Altipiano

Abbiamo lasciato i compagni di tour nel primo pomeriggio, dopo una mattinata dedicata all'osservazione dei Condor nel Colca Canyon.







L'autobus di linea della compagnia "4M", partito da Chivay, ha scavalcato il Passo Patapampa (4910 metri) e noi ci siamo sentiti degli abituè delle alte quote.




Il giorno prima ci eravamo fermati lì, provenendo da Arequipa per ammirare all'orizzonte i vulcani e nevai Ampato, Sabancayo e Mismi, da cui traggono origine il Rio delle Amazzoni e suoi 6800 chilometri di acque diretti all'Oceano Atlantico. 







Oggi il bus poi ha attraversato la Pampa de Canahuas, nella Riserva di Aguada Blanca ripopolata di vigogne, e ci ha scaricato in un posto tappa per una ventina di minuti.










Gusto il tempo di assaporare un "triple mate" bollente e verdissimo. Ripartiti, ecco dal vetro scorrere il paesaggio spettacolare del Bosque de Piedra Imata 

















e della Laguna Lagunillas, a 4174 metri di quota.











 

Poi, infinite inquadrature dei paesaggi disabitati e selvaggi dello sterminato Altipiano Andino, per circa due ore di viaggio. 

I neon colorati delle insegne, sulla strada principale della città di Juliaca ormai immersa nella sera sfilano all'altezza degli occhi attraverso i finestrini e ci fanno lentamente riabituare al paesaggio urbano. Il mondo lunare dell'altipiano ci sembra già distane anni luce. 


Un'oretta ancora ed entriamo nell'autostazione di Puno, la cittadina abbarbicata alle sponde peruviane del lago Titicaca (3900 metri) il più alto bacino naturale navigabile al mondo. Qualche minuto di taxi e siamo in hotel, confortevole e di un'eleganza da catena alberghiera di buon livello. Quel che ci vuole, per ricaricarci dopo tante ore di viaggio. E domani, faremo la conoscenza di un modo di vivere molto speciale: quello degli Uros, antichi abitanti delle isole di canne palustri (totora) flottanti nella baia "a orilla" di Puno. 


Colca Canyon: El Condor Pasa





"Oh Condor, voglio tornare alla mia amata terra e vivere con i miei fratelli Inka" recita il testo originale della celebre "zarzuela".  Le sue note risuonano per le Ande dal lontano 1913 e ha l'onore di essere uno dei brani musicali che la sonda Voyager -moderno condor meccanico- sta portando nello spazio infinito, alla ricerca di nuove civiltà. Noi stamattina entreremo nel Canyon del Colca, il secondo per profondità dopo il Grand Canyon. Ne percorreremo una parte fino ad arrivare al Mirador "La Cruz del Condor", terrazza panoramica naturale davanti alla quale il più grande volatile al mondo "pasa" e si produce in spirali alla ricerca delle correnti ascensionali, per la gioia di turisti e fotografi. 

Lasciamo l'hotel "Casa de Mama Yacchi", a Coporaque, per fermarci dopo pochi chilometri a Maca. 





 La sua chiesa bianca, con i due campanili gemelli, si staglia nel blu. Visitiamo rapidamente l'interno e risaliamo sul pulmino. 








Intorno, il mercatino dell'artigianato locale sta lentamente prendendo forma nella luce tagliente delle otto di mattina. 








Ripartiamo e il panorama si fa sempre più interessante: a destra, sul versante opposto della vallata ammiriamo la struttura geometrica delle terrazze agricole costruite in epoca precolombiana: le "andenes".

 Alcune sono ancora sfruttate, altre sono in stato di abbandono. La loro grande quantità è indice di quanto fosse numerosa la popolazione qui, al tempo degli Inka. Nelle "andenes" venivano coltivati soprattutto mais, quenoa, patate.

 Alla nostra sinistra invece, pareti di roccia chiara perforate da nicchie. Juan Carlos, ci spiega che si tratta di tombe precolombiane.

Necropoli inconsueta che ci fermiamo a fotografare.




Ora la strada si snoda a mezza costa inoltrandosi nel Colca. Le rocce sottostanti si fanno scure e ripide. Un'altra sosta permette di rendersi conto appieno della profondità del canyon.





Ancora una curva ed ecco le terrazze panoramiche da cui ammirare i condor! Di loro, però, nemmeno l'ombra. Ci appostiamo in attesa, mescolandoci ad una folla di turisti armati di ogni bendidio fotografico.











Altri volatili cercano di tenerci compagnia con le loro danze.











  
Colibrì giganti e piccoli rapaci si producono in evoluzioni coreografiche, cercando le termiche ascensionali o i fiori profumati da cui succhiare il nettare.





Ma gli occhi di tutti -e le  
macchine fotografiche- sono puntati sul cielo e aspettano loro. I Condor. Gli animali sacri, per gli Inka il simbolo del "mondo di sopra", il mondo degli dei. Come il Serpente lo era per il mondo "di sotto", cioè dei morti, e il Puma  per il mondo dei viventi. Ecco finalmente apparire i Divi. Non camminano su un tappeto rosso come alle mostre del cinema. Recitano, invece, davanti a un fondale blu abbacinante che ci stordisce nello sforzo di non perdere un solo secondo del loro volo maestoso. 




                 




                                    


Con gli occhi ancora pieni di luce azzurra e di ali, lasciamo a malincuore questo angolo di paradiso.











martedì 30 luglio 2013

Da Arequipa a Chivay: Toccare il cielo con un dito





Avete mai toccato il cielo con un dito? Noi si, almeno quasi, a 4910 metri di altitudine.


Affidati alle cure culturali di Juan Carlos, guida dell'agenzia "Giardino", lasciamo Arequipa alle otto di mattina a bordo di un pulmino bianco. Siamo diretti alla cittadina di Chivay, punto d'inizio dell' escursione al Canyon del Colca. Il tour durerà due giorni.


Il piccolo automezzo si allontana dalle ultime case di Arequipa. Ci rendiamo conto che la "Ciudad Blanca" è circondata da un territorio arido e desertico dove la fanno da padrone arbusti, cielo e sole. 







Entriamo, dopo circa un'ora di viaggio, nella Reserva Nacional "Salinas y Aguada Blanca". 







Orizzonti vasti, erbe giallo pallido. Vigogne timide e ritrose, sole o in piccoli gruppi, pascolano non troppo distanti dal nastro di asfalto su cui viaggiamo. 













Il paesaggio piacerebbe a Wim Wenders.



Ogni tanto un camion, di quelli con il cofano lungo e lo scappamento a camino, passa rumoroso, rimpicciolisce e scompare all'orizzonte della striscia gialla di mezzeria.










Ci fermiamo e scendiamo a fotografare. 


















 A volte ci fermiamo anche per lasciare che morbide greggi di pecore, lama e alpaca attraversino la strada, seguite dai pastori con le loro famiglie.  









Nella Riserva, vivono parecchie comunità di campesinos dediti all'allevamento delle due specie di camelidi domestici - lama e alpaca - ed al censimento e tosatura periodiche delle selvatiche vigogne. "Salinas y Aguada Blanca" infatti è nata nel 1979 proprio per proteggere questo animale. All'interno del suo territorio vivono più di duecento specie di vertebrati, in un habitat vegetale composto di quasi cinquecento specie. Il tutto, distribuito su di un'area che va dai 3600 ai 6000 metri di altitudine e comprende e preserva le bellezze naturali della conca del Rio Chili. 




Il nostro viaggio prosegue, salendo fino a raggiungere i 4200 metri dell' "Alto Sumbay".









Lì, in un piccolo Rifugio - come se ne trovano tanti sulle nostre Alpi - beviamo una corroborante tisana detta "triple". Un tris di erbe composto da foglie di coca, muna e chachacome, infusi in acqua bollente. Una delizia che scalda e rappacifica (se mai ce ne fosse bisogno) con la quota che ormai si avvicina ai 5000 metri.









Acquistiamo un paio di berretti di lana d'alpaca lavorati a mano e ripartiamo.


                                                            
Tocchiamo ora il punto più alto e spettacolare: il "Mirador De Los Andes", 4910 metri sul livello del mare. Geograficamente stiamo valicando il Passo di Patapampa, il più alto del Perù.









Di qui si ammirano con un unico sguardo i maestosi vulcani Misti, Chachani, Hualca- Hualca, Sabancayo, Ubinas, e la catena andina nella sua magnificenza.









Sui terreni intorno al piazzale, a far da cornice a questo splendore una miriade di montagnole di pietre, altarini votivi innalzati dai viandanti verso il cielo blu.


Un po' di bancarelle sature di colori danno a questo luogo ulteriore fascino, un tocco di allegro folklore.







Risaliamo in pulmino, inebriati di luce e di vento. La discesa del valico ora si fa ripida e gli audaci tornanti ci fanno planare in men che non si dica sulla piazzetta di Chivay, in pieno mercato.


















Siamo ormai all'imbocco del Canyon del Colca, la profonda spaccatura di roccia seconda solo all' americano Grand Canyon.  
Domani faremo la sua conoscenza.








Ora, ci aspetta un pranzetto gustoso nell' hotel "Casa de Mama Yacchi", a Coporaque, nostra base anche per la notte.





Dopo esserci cimentati con la gastronomia locale, un pomeriggio riposante, all'aperto, immersi nelle acque calde del piccolo sito termale "Umaru".





L'abbiamo raggiunto a piedi, mezz'oretta di cammino su strada sterrata.









Il ritorno all'hotel invece, meno sportivamente, in pulmino, sotto un tramonto rosso fuoco.







Cena e riposo sognando un volo di Condor...